Tumore della vescica: in Europa 6.500 casi legati a contaminanti presenti nell’acqua del rubinetto

Monday, 20 January, 2020

In Italia i valori di trialometani, composti chimici che si formano durante la disinfezione, sono superiori al limite massimo di sicurezza. Carcinoma vescicale quinta forma di cancro più frequente nel nostro Paese

Ogni anno in Europa oltre 6.500 casi di tumore alla vescica, il cinque per cento del totale, sono correlabili all’esposizione ai trialometani, sostanze chimiche contenute nell’acqua potabile. Si è calcolato che, se tutti i Paesi dell’Unione europea si attenessero alle regole stabilite dai regolamenti comunitari, almeno 2.900 casi annui potrebbero essere evitati. È la conclusione a cui giunge un’indagine appena pubblicata sulla rivista Environmental Health Perspectives e coordinata dai ricercatori spagnoli del Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal) che hanno voluto quantificare i possibili danni provenienti da questi composti chimici che si formano nelle acque pubbliche durante la disinfezione con cloro o con disinfettanti laddove venga meno il controllo sui reattivi chimici e sui prodotti di smaltimento.

Composti chimici pericolosi
I trialometani sono composti chimici che si formano durante la disinfezione con cloro o con disinfettanti clorurati mediante la reazione fra cloro e la materia organica contenuta nell’acqua. I disinfettanti clorurati sono uno dei metodi più utilizzati per la potabilizzazione delle acque: l’acqua, infatti, anche quando sembra limpida e pura, è in realtà un veicolo di trasmissione di numerose specie di microrganismi. La IARC (International Agency for Research on Cancer), che sulla base dei dati scientifici raccolti in tutto il mondo cataloga le sostanze cangerogene, li ha inseriti nelle classi 2B (ovvero possibili cancerogeni, per le quali esistono evidenze incerte su animali da laboratorio) e 3 (sospetti cancerogeni, con pochissime evidenze certe, per i quali esiste comunque dubbio). 

Quali Paesi europei rischiano di più
In questa nuova indagine, a cui hanno partecipato anche scienziate italiane del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Modena e Reggio Emilia, i ricercatori hanno voluto stimare il numero di casi di tumore che possono essere direttamente imputati al consumo di acqua contaminata. Hanno analizzato per la prima volta su larga scala la presenza delle sostanze chimiche appartenenti alla categoria dei trialometani (quali cloroformio, bromodiclorometano, dibromoclorometano e bromoformio) provenienti nell’acqua di rubinetto di 26 Paesi europei (Bulgaria e Romania sono state escluse perché le informazioni disponibili erano scarse). I dati sono stati raccolti tra il 2005 e il 2018 e i risultati finali provengono dall’incrocio dei livelli di trialometani rilevati nell’acqua corrente dalle amministrazioni locali con l’incidenza del tumore alla vescica nella popolazione del singolo Stato. La percentuale rilevata varia molto da Paese a Paese: l’Italia si trova in una posizione intermedia con l’1,2 per cento di casi di tumore alla vescica attribuibili al contatto con i trialometani, pari a 336 casi all’anno. Cipro (23%), Malta (17%), Irlanda (17%), Spagna (11%) e Grecia (10%) sono le nazioni con il maggior numero di casi di carcinoma vescicale associato alle sostanze chimiche dannose. Mentre le popolazioni meno esposte alla contaminazione sono quelle di Danimarca (0%), Paesi Bassi (0.1%), Germania (0.2%), Austria (0.4%) e Lituania (0.4%). 

Italia fra i 9 Paesi con valori elevati
«Il dato rassicurante è che in media nella popolazione europea i livelli di trialometano nell’acqua potabile sono risultati molto al di sotto della soglia massima consentita con 11,7 microgrammi per litro in confronto ai 100 fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e ai 30 fissati per alcuni di essi dalla Direttiva CE come limite massimo - commenta Renzo Colombo, vice-presidente della Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO) e coordinatore dell’Area di Attività Assistenziale Uro-oncologica dell’Unità Operativa di Urologia dell’IRCCS San Raffaele di Milano -. In nove Stati, però, la concentrazione delle sostanze è risultata superiore al valore massimo, tra i quali l’Italia, oltre a Cipro, Estonia, Ungheria, Irlanda, Italia, Polonia, Portogallo, Spagna e Regno Unito. Il risultato dell’indagine appena pubblicata sollecita quindi il rispetto delle normative comunitarie anche attraverso il ricorso a tecnologie più sicure per il trattamento dei trialometani nelle acque contaminate ricorrendo ad esempio alle tecniche in cui i composti volatili vengono estratti dalla fase fluida o ai sistemi filtranti a carboni attivi che possono essere adottati anche per il trattamento le acque di rubinetto delle unità abitative».

Oltre 27mila casi all’anno nel nostro Paese
Il carcinoma della vescica è la quinta forma di cancro più frequente in Italia con circa 27.100 nuovi casi diagnosticati nel 2018 nel nostro Paese: 21.500 tra gli uomini e 5.600 tra le donne. Nonostante ad ammalarsi siano soprattutto gli uomini, sono le donne a rischiare di più la vita perché nel sesso femminile la diagnosi arriva troppo spesso in ritardo. «Circa un quarto dei casi di tumore della vescica è attribuibile ad esposizioni lavorative in settori dove vengono impiegati soprattutto gli uomini - spiega Colombo -: il rischio di carcinoma uroteliale è più alto tra gli occupati nelle industrie dei coloranti derivati dall’anilina e delle ammine aromatiche (benzidina, 2-naftilamina), sostanze chimiche generate soprattutto nella produzione di vernici e pigmenti per tessuti, pelle e carta, oltre che nell'industria della gomma e del catrame».

Sintomi da non trascurare
Quali i sintomi a cui prestare attenzione? «Il principale segnale di un carcinoma vescicale è la presenza di sangue nelle urine - conclude l’esperto -. Altre spie iniziali possono essere la necessità di urinare più frequentemente, l’urgenza, il dolore o la difficoltà all’atto di urinare. Sono sintomi comuni ad altre malattie urinarie, anche non gravi e le donne tendono a sottovalutarli perché più frequentemente soffrono di cistiti o di perdite ematiche, nelle urine e non, collegate al ciclo mestruale o meno. Tendono così a non allarmarsi, a ritardare la visita dallo specialista o gli accertamenti e arrivano a scoprire la neoplasia tardivamente, quando le cure devono essere più aggressive».

FONTE: CORRIERE DELLA SERA