Tumori: percorsi di cura uniformi e riduzione degli sprechi

19/02/2019

“Va migliorata l’efficienza per risparmiare fino al 20% dei costi”

Roma, 19 febbraio 2019 – In cinque anni (2013-2018) i nuovi casi di cancro nel nostro Paese sono aumentati da 366mila a 373mila. E, oggi, quasi 3 milioni e 400mila persone vivono dopo la diagnosi, con un incremento del 3% ogni 12 mesi. Il servizio sanitario nazionale, finora, è stato in grado di sostenere il peso crescente della malattia e di rispondere alle esigenze di questi pazienti. Ma è urgente individuare soluzioni per rendere più efficiente il modello di assistenza oncologica. Ogni anno, in Italia, il 20% dei costi per la cura del cancro, pari a circa 3,8 miliardi di euro, potrebbe essere risparmiato migliorando l’efficienza complessiva del sistema, fermo restando l’obiettivo generale di garantire un livello di finanziamento pubblico adeguato alla domanda di salute. È infatti necessario far fronte a criticità urgenti che rischiano di compromettere la qualità dell’assistenza: almeno il 15% degli esami (in particolare radiologici e strumentali) è improprio, vi sono terapie di non comprovata efficacia che costano ogni anno al sistema circa 350 milioni di euro e il peso delle visite di controllo è pari a 400 milioni. Non solo. Le liste di attesa sono troppo lunghe, l’adesione ai programmi di screening è insufficiente soprattutto al Sud, le reti oncologiche regionali sono attive solo in alcune aree e i percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) non sono uniformi nelle varie Regioni con conseguente spreco di risorse. Soluzioni concrete vengono proposte oggi in una conferenza stampa a Roma da All.Can, coalizione che include associazioni di pazienti, clinici, università e industria, con l’obiettivo di ridefinire il paradigma di gestione del cancro, adottando un’ottica interamente centrata sul paziente. All.Can rappresenta la declinazione di un’iniziativa internazionale promossa in 19 Paesi che porta, anche in Italia, l’esperienza positiva di una vera alleanza tra tutti gli attori coinvolti nella lotta alla malattia. “La riduzione delle inefficienze è la precondizione per velocizzare l’accesso all’innovazione – spiega la senatrice Emilia Grazia De Biasi, Portavoce di All.Can Italia -. Non servono tagli lineari, ma soluzioni in grado di allocare le risorse garantendo il miglior risultato per i pazienti, facendo crescere la qualità del sistema pubblico della salute. Questo tipo di approccio richiede proposte strutturali e una visione strategica di lungo termine piuttosto che una di breve, rivolta esclusivamente a risolvere problemi immediati. All.Can vuole mettere i pazienti al centro delle proposte elaborate, creare sistemi di misurazione (accountability) per assicurare che l’allocazione delle risorse sia indirizzata solo alle esigenze del malato, investire nella generazione di dati che evidenzino le variazioni degli esiti e definiscano esattamente cosa è spreco, focalizzare la volontà politica per incorporare queste iniziative all’interno delle decisioni politiche elaborate a livello nazionale e internazionale”. All.Can è reso possibile grazie al contributo di Bristol-Myers Squibb e AbbVie. Nel 2017, in Italia, la spesa farmaceutica totale è stata di 29,8 miliardi di euro (il 75% rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale). Le uscite per i farmaci anticancro sono passate da 3,3 miliardi di euro nel 2012 a più di 5 miliardi (5.063 milioni) nel 2017: rappresentano la prima categoria terapeutica a maggior spesa pubblica. Questo valore, anche se in costante crescita, equivale “solo” al 25% del costo totale del cancro (pari a circa 19 miliardi di euro ogni anno4). Accanto ai costi diretti (per farmaci, visite specialistiche ecc), vanno infatti considerati quelli indiretti che incidono in maniera significativa (ad esempio, mancati redditi da lavoro per assenze forzate o cessazione dell’attività lavorativa sia del malato che delle persone che prestano assistenza).

“Vanno definite le azioni prioritarie da mettere in atto – afferma il prof. Gianni Amunni, vice presidente di Periplo e Direttore Generale dell’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica (ISPRO) -. Innanzitutto, devono essere realizzate in tutto il territorio le reti oncologiche regionali, la cui completa attivazione procede con estrema lentezza. Oggi sono operative solo in sei Regioni (Toscana, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Liguria). Il problema della loro istituzione è stato affrontato nel Piano Oncologico Nazionale, ma è rimasto embrionale. Solo le reti oncologiche regionali permettono un collegamento reale fra i centri e lo sviluppo integrato dei percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali. Offrono al paziente la garanzia di ricevere le cure migliori negli ospedali più vicini al domicilio, con significativi risparmi. Senza considerare l’eliminazione degli esami impropri e la riduzione delle liste di attesa e delle migrazioni sanitarie. Basta pensare che oggi il 12% dei cittadini colpiti da tumore del colon retto e residenti nel Meridione si reca al Nord per sottoporsi all’intervento chirurgico”. “È inoltre necessario che la riorganizzazione degli ospedali e dei posti letto privilegi le strutture che trattano più casi – evidenzia il prof. Paolo Marchetti, Direttore Oncologia Medica B del Policlinico Umberto I di Roma e Ordinario di Oncologia all’Università La Sapienza -. Non è ammissibile che un giorno di ricovero abbia costi estremamente differenti non solo tra diverse Regioni, ma anche nell’ambito di uno stesso territorio. Per questo bisogna procedere all’applicazione reale dei costi standard, cioè dei criteri per assegnare le risorse per finanziare i reparti di oncologia. Questi parametri sono strumenti fondamentali per valutare la spesa, perché assicurano la sostenibilità del sistema sanitario e garantiscono equità nella distribuzione dei fondi. Consentono, inoltre, di sapere se si spende troppo e perché, o se vi è carenza di risorse, oltre a consentire di formulare e monitorare i budget. Oggi viene applicata una tariffa unica per prestazione generica (per esempio la chemioterapia ha una sola classificazione), con rilevanti differenze fra costi effettivi e standard. In realtà bisognerebbe far riferimento all’indicazione terapeutica, cioè al tipo di patologia trattata”. Già nel 2010 un’indagine sui costi standard per DRG in oncologia, cioè sulle tariffe per la remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera, aveva sottolineato una ‘sottotariffazione’ dei ricoveri (differenza tra tariffazione e costi reali) pari al 28%. Un’altra indagine, condotta nel 2015, ha evidenziato un ulteriore incremento di questa differenza che ha raggiunto il 78%.
“Inoltre, molti esami non rispondono al criterio dell’appropriatezza – continua il prof. Marchetti -. Il problema riguarda, in particolare, i marcatori tumorali. Questi test sono utilizzati in oncologia da più di 40 anni, ma il loro uso sta diventando eccessivo rispetto al numero dei pazienti oncologici, perché sono impiegati a scopo diagnostico in persone non colpite dalla malattia. Nel 2012 sono stati eseguiti oltre 13 milioni di marcatori tumorali a fronte di 2 milioni e 300mila italiani che vivevano dopo la diagnosi. La soluzione è rappresentata dalla uniformazione a livello nazionale delle indicazioni per un loro uso appropriato”.