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Primi passi del Progetto PerSTEP – Percorso Teorico Pratico in ambito uro-­‐‑oncologico, un’iniziativa realizzata da SIUrO e CIPOMO grazie al contributo di Sanofi.

La multidisciplinarietà e la multiprofessionalità sono risposte efficaci per gestire la complessità del cancro prostatico e ottimizzare il percorso diagnostico, terapeutico, osservazionale, riabilitativo e di follow up dei pazienti prostatici? Ma soprattutto: le modalità di lavoro multidisciplinare e multiprofessionale sono applicabili anche in Italia?

PerSTEP ha mosso i primi passi per dare una risposta a questi fondamentali quesiti, costituendo una Task Force multidisciplinare e multiprofessionale formata, oltre che dai responsabili del progetto Giario Conti, Roberto Labianca, Tiziana Magnani, Giuseppe Martorana e Riccardo Valdagni, anche dai seguenti specialisti:

Lara Bellardita, Psicologa, Programma Prostata, Istituto Nazionale dei Tumori, Milano
DavideBiasoni,Urologo,IstitutoNazionaledeiTumori,Milano
Emanuela Cagna, Oncologo Radioterapista, Ospedale Sant’Anna, Como
Luigi Franco Cazzaniga, Oncologo Radioterapista, Ospedali Riuniti, Bergamo
Daniela Chinaglia, Anatomo-­‐‑Patologo, Ospedali Riuniti, Bergamo
Dorian Cosentino, Oncologo Radioterapista, Ospedale Sant’Anna, Como
Luigi Da Pozzo, Urologo, Ospedali Riuniti, Bergamo
Davide Diazzi, Urologo, Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna
Andrea Gianatti, Anatomo-­‐‑Patologo, Ospedali Riuniti, Bergamo
Monica Giordano, Oncologo Medico, Ospedale Sant’Anna, Como
Caterina Messina, Oncologo Medico, Ospedali Riuniti, Bergamo
Giuseppe Procopio, Oncologo Medico, Istituto Nazionale dei Tumori, Milano
Riccardo Schiavina, Urologo, Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna
Marco Tendini, Oncologo Medico, Ospedali Riuniti, Bergamo  

In un incontro della Task Force lo scorso 5 ottobre, dal confronto delle diverse realtà locali sono emerse le seguenti criticità:

1)  Nonostante la disponibilità dei Direttori di Urologia, Radioterapia Oncologica e Oncologia Medica dei centri pilota al dialogo interspecialistico e al lavoro multidisciplinare, potrebbero esserci resistenze al cambiamento legate a cultura personale, formazione specialistica, età, interessi corporativi e personali, difficoltà relazionali.

2)  Il team leader, figura necessaria per il buon funzionamento del gruppo, cui è richiesto competenza, carisma, capacità di stimolare il team building e di conciliare eventuali contrasti, potrebbe non essere riconosciuto dal gruppo per diverse ragioni (rappresentante di una differente specialità, senza la sufficiente esperienza e competenza, ruolo solo funzionale e non gestionale).

3)  I diversi specialisti dello stesso ente non hanno condiviso le linee guida diagnostico-­‐‑ terapeutiche da applicare nelle varie situazioni, con il rischio di proposte terapeutiche e osservazionali non evidence-­‐‑based, parziali e non obiettive.

4)  Nonostante le Direzioni Scientifica e Amministrativa dei centri pilota abbiano confermato verbalmente il supporto alla riorganizzazione del lavoro secondo una logica multidisciplinare, si riscontra una grande difficoltà a tradurre in pratica l’impianto teorico della multidisciplinarietà, favorire i cambiamenti e strutturare un diverso modello organizzativo.

5)  Ove presente, la collaborazione tra i diversi specialisti è spesso su base volontaria, non strutturata e difficilmente incrementabile. In alcune realtà l’input alla discussione dei casi viene dall’urologo: si tratta di pazienti già sottoposti a intervento chirurgico. Non è prevista la discussione dei casi prima che il trattamento sia impostato ed effettuato.

6)  La gestione multidisciplinare del paziente con tumore della prostata è vissuta come un grande investimento di tempo/uomo, non riuscendo a percepirne i vantaggi. Non si riescono a immaginare soluzioni alternative che possano essere un giusto compromesso tra gli importanti carichi di lavoro dei diversi specialisti e la necessità di impostare una sinergia tra diverse figure professionali. La discussione collegiale dei casi senza paziente è vissuta come un’alternativa percorribile.

7)  La centralità del paziente non è vissuta come necessità cui adeguare il modello organizzativo.

 

La Task Force è riuscita al contempo a far emergere i seguenti concetti base e punti di forza del lavoro multidisciplinare:

1)  È necessario identificare un team leader all’interno del gruppo multidisciplinare, che sia competente, carismatico, in grado di stimolare il team building e riconciliare eventuali contrasti.

2)  È necessario condividere, all’interno del team multidisciplinare, linee guida evidence-­based. La discussione può stimolare il confronto tra posizioni apparentemente inconciliabili, indirettamente favorire il cambiamento culturale e, una volta superati i contrasti iniziali, portare coesione tra i partecipanti. 

3)  Le linee guida, calate e in alcune occasioni adattate alle diverse realtà, sono lo strumento per creare percorsi diagnostico-­‐‑terapeutici ottimali.

4)  Le Direzioni Scientifica e Amministrativa dei vari enti devono condividere il piano strategico di riorganizzazione e supportare fattivamente il cambiamento implicito nel passaggio al lavoro multidisciplinare.

5)  La collaborazione tra i diversi specialisti deve essere quantificata sulla base del carico di pazienti/anno dell’ente, formalizzata con appositi agreement e verificata periodicamente.

6)  La gestione multidisciplinare del paziente con tumore della prostata può avvenire con diverse modalità. Urologo, oncologo radioterapista e oncologo medico possono partecipare alla visita multidisciplinare simultaneamente o sequenzialmente. Il paziente deve essere presente e il caso non può essere solo discusso dal gruppo multidisciplinare.

7)  Prima della visita il paziente deve essere informato della modalità di lavoro, affinché non sia disorientato al momento dell’incontro con gli specialisti.

8)  È necessario passare da un approccio paternalistico, in cui lo specialista prescrive la terapia, a un approccio deliberativo, in cui lo specialista, riconoscendo la pari efficacia delle opzioni terapeutiche, suggerisce le diverse possibilità, consiglia al paziente un colloquio con altri specialisti e riconosce il diritto del paziente all’autodeterminazione e alla scelta del proprio percorso di cura oppure osservazione. Questo implica che il paziente sia supportato nel difficile momento della fase decisionale.

 

I centri pilota proseguiranno la discussione interna e si ritroveranno tra qualche settimana per condividere il percorso effettuato.