FAVO: 'Servono 1.070 giorni per accedere ai farmaci anti-cancro'

15/05/2015

Roma, 15 maggio 2015 - Servono circa tre anni, 1.070 giorni, perché un farmaco anti-cancro sia disponibile per i pazienti italiani. In particolare sono richiesti 400 giorni per l'approvazione da parte dell'agenzia regolatoria europea (EMA, comprensivi di "clock-stop") e circa 570 per quella nazionale dell'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco). L'ostacolo ulteriore è costituito dalla terza fase, regionale, che prevede l'inserimento del farmaco nel Prontuario Terapeutico Ospedaliero Regionale (PTOR). Con molte differenze sul territorio: in media servono 100 giorni, ma si passa da un massimo di 170 in Calabria a un minimo di 40 in Umbria. I dati emergono dall'indagine promossa da AIOM (Associazione Italiana di Oncologica Medica), FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), e Fondazione Censis, contenuta nel VII Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato oggi al Senato. "Nelle Regioni che non hanno il Prontuario Terapeutico Ospedaliero i farmaci innovativi sono disponibili in maniera più tempestiva - spiega il prof. Francesco De Lorenzo, presidente FAVO -. È chiaro che avere le terapie giuste al momento giusto è l'unica soluzione per rispondere in modo adeguato alla domanda di cure efficaci. Il lavoro svolto dalle Commissioni regionali, locali e aziendali, che ovviamente non aggiungono valutazioni scientifiche aggiuntive rispetto a EMA e AIFA, porta a un razionamento dei farmaci effettivamente disponibili per i cittadini. E si determinano così inaccettabili disparità tra Regione e Regione, negando, dove ciò avviene, il diritto di tutti i malati ad avere accesso in tempo utile ai nuovi farmaci autorizzati". L'indagine è stata condotta a livello nazionale e in un campione di 10 Regioni (Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto), prendendo in considerazione un set di 16 farmaci oncologici (nuove autorizzazioni AIC o estensioni di indicazioni di farmaci già autorizzati) che hanno completato l'iter autorizzativo negli ultimi due anni e che sono ora disponibili in commercio. "In molti casi - continua il prof. De Lorenzo - i ritardi sono causati dalla cadenza temporale delle riunioni delle Commissioni Tecnico Scientifiche regionali, che spesso avvengono con scarsa frequenza, anche dopo due anni. Inoltre, spesso, durante l'iter autorizzativo, il passaggio dall'AIFA ai singoli PTOR porta addirittura a un taglio delle indicazioni terapeutiche, con l'effetto di negare il diritto alla cura ad alcuni pazienti. "Il farmaco - spiega la Dott.ssa Carla Collicelli del Censis - prima di essere disponibile nelle farmacie ospedaliere (e quindi per i pazienti), deve completare un'ulteriore trafila, che non solo varia da Regione a Regione, ma anche tra un'Azienda ospedaliera e l'altra all'interno della stessa Regione. In pratica, una Commissione territoriale, pur non potendo inserire nel proprio Prontuario un farmaco non autorizzato dall'AIFA, può però escluderlo. Analogamente, un Prontuario Terapeutico Ospedaliero (PTO) non può contenere un farmaco non inserito nel rispettivo Prontuario Terapeutico Ospedaliero Regionale (PTOR), ma può escluderlo dalla lista delle terapie disponibili. Pertanto il lavoro svolto dalle Commissioni regionali, locali e aziendali può portare, e spesso porta, ad un razionamento dei trattamenti effettivamente disponibili per i cittadini, determinando disparità sul territorio e negando il diritto di tutti i malati di avere accesso ai nuovi farmaci autorizzati in tempo utile. Si tratta potenzialmente di una forma occulta di razionamento, poco conosciuta e monitorata, che crea disuguaglianze territoriali e penalizza alcune fasce di cittadini. Ciò comporta tanti diversi servizi sanitari regionali con l'ovvia conseguenza che il trattamento terapeutico ottimale dipende purtroppo dal luogo di residenza". Il percorso che porta i farmaci dalla loro scoperta sino al momento della concreta disponibilità d'utilizzo ha, quindi, un notevole rilievo sociale, toccando aspetti cruciali del vivere quotidiano dei malati e dei loro famigliari, generando differenze di accesso sinceramente inaccettabili.