Tumore della prostata in Italia: mortalità in calo

07/10/2016

Milano, 6 ottobre 2016 - Sempre più diagnosi, un eccessivo trattamento dei tumori meno aggressivi e il sotto-trattamento dei pazienti anziani. Così appare la gestione del tumore della prostata nel nostro Paese nell’indagine pubblicata nei giorni scorsi sullo European Journal of Cancer, realizzata dall'Istituto Nazionale dei Tumori in collaborazione con l'Associazione Italiana Registri Tumori (Airtum), anche grazie al sostegno di Airc e Amgen. La ricerca “Prostate cancer changes in clinical  presentation and treatments in two decades: an Italian population - based study” ha messo a confronto due distinti periodi di tempo (1996-1999 e 2005-2007).  In particolare, il confronto fra i due periodi di tempo presi in esame evidenzia un aumento dei pazienti che arrivano alla diagnosi con classe di rischio bassa, una riduzione di quelli diagnosticati in fase tardiva (classe di rischio alta o metastatica) e un miglioramento complessivo della sopravvivenza nei gruppi ad alto rischio. A determinare questo trend hanno contribuito il miglioramento terapeutico e la diagnosi precoce. La fotografia mostra inoltre un diverso approccio di cura a seconda della fascia di età dei pazienti: più interventi invasivi per gli uomini giovani - con incremento della prostatectomia radicale ma non della radioterapia per gli uomini sotto i 75 anni – e più rari gli interventi radicali nei pazienti sopra i 75 anni. Lo studio mette quindi in luce un possibile “overtreatment” dei pazienti a basso rischio, e per converso un sottotrattamento dei pazienti più anziani. «In determinate situazioni cliniche  – spiega Riccardo Valdagni, Direttore della Radioterapia Oncologica 1 e Direttore del Programma Prostata dell'Istituto Nazionale dei Tumori - non è necessario intervenire subito in modo radicale (chirurgia, radioterapia esterna, brachiterapia), ma è consigliabile sottoporre il paziente a sorveglianza attiva, cioè a un percorso di monitoraggio del tumore definito a rischio di progressione basso e molto basso. Ciò consentirebbe di limitare i casi di overtreatment dei tumori indolenti, e quindi gli effetti collaterali delle terapie, riuscendo a garantire al paziente una migliore qualità di vita». Lo studio infatti mostra che nel periodo 2005-2007, quando l’idea di un modello di presa in carico multidisciplinare non era ancora diffuso mentre era già diffuso il test del Psa, si è assistito a un aumento delle diagnosi di tumori a basso rischio, cioè non letali, ma non a una corrispondente riduzione dei trattamenti invasivi o comunque radicali. L’opzione della sorveglianza attiva, vera alternativa al sovra-trattamento, non era ancora disponibile.