Montorsi (San Raffaele Milano): "il test del PSA porta 9 volte su 10 alla diagnosi di cancro"

Thursday, 29 January, 2015

Milano, 29 gennaio 2015 - Additato come imperfetto, osteggiato, dibattuto, protagonista di salti in avanti e clamorosi passi indietro. Il test del Psa per la diagnosi precoce del tumore alla prostata continua a far discutere. Da un lato gli epidemiologi bollano un uso indiscriminato in forma di screening come non vantaggioso in termici di costi-benefici ("per salvarne uno ne controlliamo migliaia", esemplificano gli esperti), dall'altro molti camici bianchi, seppur con diversa intensità, continuano a mettere sul tavolo l'aiuto che nel bene e nel male l'esame ha portato nell'intercettare in tempo neoplasie di conseguenza più trattabili. In mezzo ci sono studi non decisivi sui vantaggi in termini di minore mortalità. A spezzare una lancia in favore del Psa è Francesco Montorsi, professore ordinario di Urologia all'università Vita-Salute San Raffaele di Milano che, a margine di un incontro, porta come esempio il caso della crociata anti-screening negli Usa e avverte: "Il Psa è l'indicatore che oggi porta alla diagnosi di tumore alla prostata 90 volte su 100. In questo momento il numero di test eseguiti annualmente negli Usa sta calando parecchio e questo esporrà nei prossimi anni la popolazione americana a un rischio di avere diagnosi di tumore alla prostata più tardive". Si potrebbe tornare, continua l'esperto, "alla situazione che vedevamo negli anni '70-'80. Allora nessuno sapeva niente e il paziente arrivava di colpo lamentando dolori al braccio o alla schiena e si scopriva che aveva già metastasi ossee. Negli Usa diverse società scientifiche si sono schierate contro, suggerendo che sia sbagliato dire ai 50enni di fare il test. Un test che era pagato interamente dallo Stato, perché negli Usa prima lo screening c'era. Ora non più".  Per Montorsi il Psa va "semplicemente usato in maniera intelligente. Se il paziente è seguito da un professionista esperto verrà indirizzato bene, sulla base delle sue caratteristiche. Non è detto che tutti debbano farlo e che la frequenza debba essere annuale. Se si guarda il problema da un punto di vista di grandi statistiche di popolazione, la conclusione è che si spende troppo per un risultato che non è sufficiente per tutti. Ma in ambulatorio noi vediamo ogni giorno casi brutti, avanzati. Persone che magari non possiamo aiutare e si scopre che il motivo per cui sono a questo punto è che non gli è stato detto di fare il Psa. Mi piacerebbe che gli epidemiologi li vedessero".  Se il medico smette di dire ai pazienti che esiste questa opzione "si rischiano passi indietro", argomenta Montorsi. "Negli Usa sta succedendo una rivoluzione: la stessa società americana di urologia ha avuto un atteggiamento prudente sul Psa". Cosa che, precisa, "non ha fatto la società europea, che invece ha stilato un documento in cui si dice di usare la testa: il paziente deve essere informato che il Psa esiste, che lo può aiutare e spiega come deve essere utilizzato e interpretato". "In linea di massima se lo si fa in età veramente giovanile, a 40 anni, e il Psa è molto basso puoi veramente dire al paziente di stare sereno e dimenticarselo per i prossimi 5 anni. E' una bella informazione da dare. Se invece il risultato non è perfetto, quantomeno il medico tira su le antenne e lo segue con maggiore attenzione. Diversamente, se un uomo di 80 anni chiede il Psa non ha senso. Vanno evitati i test inutili".